domenica 30 marzo 2014

Decalogo a puntate per sognatori di cucine 6

6.
Dimenticherete progressivamente cosa voglia dire sentirsi sexy.



Spiegazione
All'inizio ci si impegna. Ne vale la pena dopotutto.
Si spera di essere notati di più, di essere apprezzati perché oltre a lavorare 16 ore riusciamo anche ad essere impeccabili e fighissimi e oltretutto profumati.

I primi tempi, anche quando avevo una pausa pomeridiana di un'ora sola, trovandomi di fronte il letto e la doccia sceglievo sempre la seconda: tornavo al lavoro profumata, pettinata e ritruccata. Sì, ma anche devastata dalla stanchezza e per miracolo riuscivo a tenermi in vita fino all'una di notte.
Ho retto così per mesi, fin quando i miei colleghi (maschi, loro sì che sono pratici) non mi hanno fatto capire che avrei dovuto leggermente ridefinire le mie priorità e che inevitabilmente sarei dovuta rientrare a casa il pomeriggio fiondandomi sul letto senza neanche guardarla, la doccia.
Tutto questo riguardava il periodo fortunato, quando la casa era a portata di mano. Nelle brevi pause parigine mi sono ritrovata invece a dormire in macchina, o in metro, o su una panchina, sempre con la bocca spalancata e la bavetta, avete presente?! Può una persona in queste condizioni sentirsi sexy? No.



I primi tempi la sveglia si punta mooolto in anticipo, per prepararsi alla giornata, stirarsi come i gatti, magari fare anche colazione, abbinare i calzini!...
Poi la sveglia comincia ad essere rimandata, prima cinque minuti, poi dieci, fino a ritrovarsi al limite di tempo possibile che permette unicamente lavaggio dei denti (quello sì) e cambio pigiama/divisa. Non ci crederete, ma ho visto persone mettersi il pigiama all'uscita del turno per poter tornare a casa e buttarsi sul letto direttamente. Bleah!
Rimango ancora inorridita dal lasciarsi andare, dal diventare piccole bestiole, ma in questa vita si rischia di scivolare verso il basso senza che il corpo opponga resistenza perché sfinito.
Si deve tirare fuori una grinta e un amor proprio non comuni.
O almeno uscire tutti i fine settimana in tubino nero, rossetto rosso e tacco 12 per compensare, sempre che si riesca ad uscire dal letto.

In più si deve avere un cuore d'acciaio; in caso contrario, non guardatevi mai le gambe, o alla vista dei primi capillari rotti a causa delle 16 ore al giorno passate in piedi potreste avere un infarto. Io ho rischiato grosso, prima di smettere di abbassare lo sguardo e di investire un terzo dello stipendio in una palestra.

venerdì 28 marzo 2014

La Vignarola

Devo ammettere che fino ad una settimana fa io non sapevo neanche cosa fosse una Vignarola (scandalo!)... poi mi è capitata di mangiarla per ben due volte nell'arco di tre giorni, prima in versione da ristorante tipico romano, poi in versione casalinga e questo piatto mi è entrato nel cuore; tanto che per la prima volta in vita mia mi sono ritrovata a capare due chili tra fave e piselli freschi proprio per non rovinare lo spirito bucolico con prodotti surgelati e insapori.

La Vignarola (già il nome mette allegria, no?) è un piatto tipico della tradizione agreste laziale e celebra l'arrivo della primavera e dei suoi frutti: vine preparata con carciofi, fave, piselli, cipollotti e lattuga (molti non la usano, io neanche in questo caso) su un fondo di guanciale croccante e poi accompagnata con pecorino, olio extravergine e pane tostato.
Semplice, tradizionale = buonissima.
Come sempre, consiglio di scegliere con cura gli ingredienti, solo in questo modo potrete ottenere un tripudio di sapori!

Ingredienti per 4 persone

guanciale         150 g

cipollotti        8
carciofi          4
fave fresche      700 g
piselli freschi   700 g
lattuga 1 cespo   piccolo

pecorino          100 g
olio extravergine

Capare le fave e i piselli. Lavare la lattuga.

Tagliare il guanciale a listarelle o in cubetti piccoli e farlo rosolare in una casseruola capiente a fuoco medio. Deve dorarsi e diventare croccantino (non bruciato eh!)
Toglierlo dalla casseruola e metterlo da parte; si può eliminare il grasso rilasciato in cottura privilegiando l'olio extravergine, oppure usarlo come base per soffriggere gli altri ingredienti, fate voi.

Tagliare finemente i cipollotti eliminando la parte verde e stufarli a fuoco medio in 2 cucchiai di olio extravergine o nel grasso del guanciale, fino a quando non si ammorbidiscono diventando trasparenti.

Nel frattempo, capare i carciofi eliminando gran parte delle foglie esterne e pulendo i gambi. Tagliare il cuore a spicchi, il gambo a tocchetti e aggiungerli ai cipollotti.
Lasciar soffriggere a fuoco basso, fin quando non diventano abbastanza teneri (10 minuti circa).

Aggiungere le fave e i piselli, lasciar cuocere a fuoco medio aggiungendo un po' di acqua bollente se si asciuga troppo. Le verdure devono rimanere integre, mescolate delicatamente e non fate cuocere più del necessario.

Aggiungere la lattuga a pezzi verso la fine della cottura e lasciar stufare con un coperchio.

Condire con olio extravergine e con una spolverata di pecorino grattugiato a scaglie, accompagnare con pane tostato.

lunedì 24 marzo 2014

20 + 9

Oggi pubblico un post abbastanza eterogeneo...
Innanzitutto è il mio compleanno, per capire da quanti anni cucino potete sommare il numero 20 al 9 presente sulla torta (non ci crederete, ma a meno di un anno comunicavo tramite urla la quantità di biscotti che volevo nel latte del biberon, quindi non sto esagerando).

Anche se è una visione un po' ridicola, questo è l'anno in cui mi piacerebbe fare tante follie, l'anno in cui vorrei accettare tutti i miei difetti e riconoscere finalmente tutte le mie qualità, riuscire ad amare un po' di più e un po' di meno, vedere il bicchiere sempre mezzo pieno e mai mezzo vuoto, capire per cosa lottare e per cosa desistere, cogliere tutto ciò che mi capita come un regalo; tra l'altro il giorno del mio compleanno è sempre il fulcro di avvenimenti e successi lavorativi pazzeschi e la cosa mi fa sorridere non poco.

Facendola breve, vorrei condividere con voi almeno due cose della giornata di oggi: la prima è ovviamente una ricetta e non una qualsiasi, ma quella della mia torta preferita: la Linzertorte, che mia nonna austriaca mi prepara da quando sono piccola. Oggi l'ha preparata invece un'ospite di eccezione, cioè mia mamma, per non farmi passare anche il giorno del mio compleanno a spignattare.
La seconda cosa è un weekend meraviglioso appena finito, trascorso con persone fantastiche e a me affini, che sono riuscite a trasmettermi in poche ore quello che da una vita cercavo di capire.
Partiamo con la ricetta, così poi mi dilungo sul resto!

Note
La Linzertorte è una crostata tipica austriaca, preparata con una pasta frolla ricca di farina di mandorle, nocciole o noci (a seconda delle tradizioni di famiglia o dei gusti) e ricoperta di marmellata di ribes rosso in origine e più frequentemente di marmellata di lamponi oggi. Ne troverete infinite versioni, qualcuno ci mette anche il cacao e la buccia di limone, qualcuno il lievito, ma nel mio caso mi affido sempre alle ricette che mi sono state tramandate in casa; la mia preferita contiene mandorle e nocciole, ha un impasto morbido ed è ricoperta da uno strato sottile di marmellata.
Attenzione alla pasta frolla, è ricchissima di grassi, sarà più facile prepararla con un robot e tenerla in frigo una notte intera, altrimenti risulterà troppo morbida e difficilissima da lavorare.
Per aiutarvi potete stenderla da fredda tra due fogli di carta forno infarinati leggermente.

Ingredienti per una Linzer da 24-26 cm Ø

farina               100 g
burro                200 g

zucchero             100 g
farina di nocciole   150 g
farina di mandorle   50 g
cannella             1 cucchiaino
chiodi di garofano   un pizzico

tuorli               2

marmellata di lamponi

Se avete bisogno del procedimento dettagliato e di approfondimenti sulla pasta frolla cliccate qui, se siete esperti andate avanti.

Miscelare il burro e lo zucchero nel robot con la foglia fino ad ottenere un impasto sabbioso.

Aggiungere lo zucchero, la farina di mandorle, la farina di nocciole e le spezie tritate e miscelare bene.

Aggiungere e i tuorli e miscelare il tempo necessario ad incorporarli all'impasto, non di più.

Trasferire l'impasto nella pellicola e porre in frigorifero una notte intera.


Accendere il forno a 160° ventilato o 180° statico.

Stendere 3/4 dell'impasto a 5 mm circa e foderare una tortiera imburrata e infarinata leggermente oppure ricoperta di carta forno.

Ricoprire di marmellata di lamponi o di riber rossi a piacere, realizzare delle strisce o dei salsicciotti con la pasta frolla rimasta e porli a griglia sulla marmellata.

Infornare per circa 40 minuti, deve essere dorata, ma non secca.
Lasciar raffreddare completamente.


Ora passiamo al weekend...
Inutile dirvi troppo perché le sensazioni e le emozioni che si provano non si possono spiegare. Posso solo dirvi che grazie a Barbara Torresan e Rocco Paladino oggi non ho paura di compiere 29 anni, perché tutti i miei percorsi tortuosi stanno acquistando un significato sempre più coerente e lineare che sono sicura mi porterà dove voglio.
Non ho paura di compiere 29 anni e non ho paura di spostare la rotellina di una reflex sulla modalità “manuale”, un risultato non da poco.

Ho incontrato un consulente del lavoro a cui abbiamo aperto un mondo sull'alimentazione, una ragazza speciale che, incredibilmente, abita a 500 metri da casa mia e che mi porterà per mercatini dell'antiquariato, una cuoca peruviana piena di vita che ieri compiva gli anni; uno chef talentuoso e collaboratori motivati e poi Giulio e Francesca che ci hanno ospitato egregiamente in una location da sogno, di cui già ho nostalgia.
Tanto che sto pensando di tornare molto presto a Poggio ai Santi per condividere parte del sogno in cui queste persone speciali credono.

Buona giornata a tutti, io ne approfitto per vivere.

martedì 18 marzo 2014

Zeppole al forno

Domani è la festa del papà, può una pasticciera-figlia esimersi dal realizzare qualcosa di grandioso?! Urgeva affidarsi a qualcuno veramente tosto, ho scelto Iginio Massari (mi accontento eh!) e la sua ricetta di zeppole. Chiedo venia per averle realizzate al forno invece di friggerle, ma voi fate pure!

Note
Se siete alle prime armi con la pasta per bignè, dovreste leggere questo post, altrimenti potete continuare.

Se vi servisse una lezione sull’utilizzo del sac à poche invece, andate qui.

Ingredienti per circa 20 pezzi

Crema pasticcera

latte                    1 l
scorza di limone         1
chiodi di garofano       3 (facoltativi)
bastoncino di cannella   1
baccello di vaniglia     1

zucchero                 400 g
tuorli                   200 g
amido di mais            100 g

Per prima cosa preparare la crema in modo che abbia il tempo per raffreddarsi; potete prepararla tranquillamente il giorno prima.

Assicurarsi che i tuorli siano a temperatura ambiente, aiuta ad evitare la formazione di grumi.

Mettere a scaldare a fuoco medio il latte, la scorza di limone, i chiodi di garofano, la cannella e la vaniglia aperta a metà in una casseruola antiaderente.

Nel frattempo, in una ciotola, sbattere energicamente a mano con una frusta lo zucchero e i tuorli per circa 2 minuti. Setacciare l’amido di riso (potete usare tranquillamente quello di mais) e incorporarlo delicatamente al composto utilizzando la frusta.

Appena il latte raggiunge il bollore, filtrarlo sul composto mescolando bene.

Riportare il tutto a fuoco medio mescolando continuamente con la frusta, specialmente nella parte centrale per evitare il formarsi di grumi.
Fermarsi dopo pochi minuti quando la crema si sarà rassodata e versarla immediatamente in un contenitore basso e freddo; coprire a contatto con pellicola per alimenti per evitare la formazione della crosticina superficiale, lasciar intiepidire e porre in frigorifero.

Se notate la presenza di grumi, in via del tutto eccezionale potete frullare la crema con il mixer a immersione quando è ancora bollente, ma non si dovrebbe fare eh! ;-)
Prima di utilizzarla sarà necessario sbatterla energicamente a mano per renderla liscia; non la frullate con lame o mixer elettrici una volta fredda, perché altrimenti tornerà liquida.


Bignè

acqua                    500 g
burro                    200 g
sale                     10 g

farina 00                300 g
uova                     650g

amarene
zucchero a velo

Io ho realizzato metà dose della ricetta ed ho ottenuto 20 zeppole medie.

Setacciare la farina e sbattere leggermente le uova in un recipiente, meglio se cilindrico.

Mettere a scaldare a fuoco medio l’acqua, il burro e il sale, quando raggiungono il bollore toglierli dal fuoco e versarvi a pioggia tutta la farina.
Mescolare energicamente con un cucchiaio di legno, fino a dissolvere completamente la farina.

Rimettere sul fuoco e cuocere fin quando l’impasto non si staccherà agevolmente dalle pareti della casseruola.

Versare in un’impastatrice con la foglia e azionare a bassa velocità fin quando non sarà tiepido; cominciare ad aggiungere le uova poco alla volta fino a raggiungere la giusta consistenza, né dura né liquida.
Potreste aver bisogno di altre uova o, viceversa, potrebbero essere troppe, attenzione ad aggiungerle gradualmente e a verificare prima di versarvi il resto.

Inserire l’impasto in un sac à poche munito di bocchetta fresata e realizzare dei bignè di circa 5 cm di diametro (potete farli anche più grandi, ma io preferisco le dimensioni contenute, non voglio uccidere i miei commensali). Per aiutarvi, potete disegnare le forme su carta forno con l’aiuto di un coppapasta rotondo, attenzione solo a rigirare il foglio in modo che l’impasto non sia a contatto con la traccia di matita o di penna.

Infornare a 170° (trovate indicazioni più precise di cottura sempre in questo post) e aprire il forno solo dopo che i vostri bignè si sono stabilizzati e hanno perso l’umidità all’interno, ci vorrà almeno mezz’ora.

Lasciarli raffreddare completamente, bucarli sulla sommità e con l’aiuto di un sac à poche con bocchetta piccola riempirli con la crema pasticcera.
Coprire il buco con un’amarena, spolverizzare di zucchero a velo e... mangiare subito!!!


Bibliografia:

Massari I., Non solo zucchero II, Reed Gourmet

Come usare il sac à poche

Questo post nasce per aiutare tutti coloro che non hanno mai maneggiato un sac à poche in vita loro (e magari non sanno neanche cosa sia); se solo il termine vi incute già timore potete anche chiamarla “tasca da pasticciere”.
Dopo questo mio semplice startup sarà necessaria solo una cosa: la pratica. Più ne farete, più migliorerete, non scoraggiatevi.

Innanzitutto è necessario decidere la bocchetta da usare e tagliare la punta del sac à poche in base alla scelta.
Molti inseriscono la punta prima e tagliano l’eccesso del sac poi, ma in questo modo la punta di metallo si graffia e c’è il rischio che perda micro frammenti con il passare del tempo (se poi è di plastica il rischio è maggiore). Inoltre il coltello usato per questa operazione rischia di perdere il filo o di scheggiarsi.
Insomma, è una tecnica che non approvo.


Per capire dove tagliare, appoggiare la bocchetta scelta sulla punta del sac à poche: bisogna tagliare circa all’altezza della metà.


Inserire la bocchetta fino in fondo in modo che aderisca bene e “chiuderla” facendo fare un mezzo giro al sac à poche e spingendolo nella bocchetta. Questo accorgimento è molto utile se dovete maneggiare impasti liquidi, per evitare di perderne metà prima di arrivare alla teglia ;-).


Risvoltare le sommità del sac: in questo modo si può inserire l’impasto all’interno senza che finisca sulle pareti esterne o coli fuori.
A questo punto potete mettere una mano nella piega appena creata e con l’altra mano riempire il sac à poche, ma io preferisco un altro metodo: scegliete un contenitore cilindrico e inseritevi il sac con i bordi rigirati.


Riempirlo con quantità modeste di impasto, risvoltare le estremità e sfilarlo dal cilindro.


Con un tarocco o una spatola, spingere l’impasto verso la punta per eliminare le bolle d’aria. Appoggiare il sac à poche nell’incavo tra pollice e indice, in modo che l’impasto non risalga e sia più facile controllare la pressione da esercitare.


Spremere la prima parte dell’impasto in una ciotola in modo da eliminare eventuali bolle d’aria e realizzare la forma desiderata su carta forno o su Silpat.


Una volta terminato, svuotarla completamente, incidere sopra la bocchetta e sfilarla delicatamente.

sabato 15 marzo 2014

Una torta di carote classica e una alternativa

Il fine settimana rappresenta per quasi tutte le persone normali un traguardo, una meta liberatoria, una pausa dalla morigeratezza per mangiare tutto ciò che durante la settimana lavorativa si è solo sognato: basta tramezzini rinsecchiti e cene riscaldate (se poi casa vostra la sera si trasforma in arena culinaria questo è un altro discorso); benvenuti brunch copiosi, aperitivi alcoolici, pizze e cabaret di paste.

Per le persone che fanno il mio lavoro e che vogliono riuscire a passare dalla porta di casa invece, il fine settimana è visto come il momento in cui il cibo ci lascerà liberi, soprattutto se si lavora in un posto nuovo carico di pane, torte e cornetti da assaggiare assolutamente pena licenziamento.

Leggendo il blog, probabilmente avrete pensato che io sia una persona amante dei trigliceridi e del colesterolo, ma la realtà è un po’ diversa: io amo il mio lavoro e soprattutto i suoi frutti, ma amo anche riuscire a infilare i miei jeans.
Per questo da anni sono una gran sperimentatrice di regimi alimentari e ingredienti alternativi, grazie ai quali ho scoperto un mondo sconosciuto ai più: parole come seitan, tofu e tempeh potrebbero sembrarmi quasi parolacce se non avessi frequentato un corso di cucina naturale, che mi ha illuminato su ingredienti essenziali di cui il nostro corpo avrebbe bisogno.
L’alimentazione in generale mi ha sempre affascinato: oltre a tramezzini, focacce e crostate ci sono prodotti che ignoriamo e che invece dovremmo riscoprire per nutrirci in modo più vario e consapevole, soprattutto perché non siamo più abituati a gustare i veri sapori di ciò che la natura ci offre.
Basterebbe essere un po’ più curiosi e democratici e darci la possibilità di alternare un panino con burro e salame ad un pranzo macrobiotico; per quanto riguarda il gusto, il secondo non reggerebbe né il confronto né il giudizio impietoso delle nostre papille gustative abituate agli esaltatori di sapidità, ma dopo un periodo di adattamento il nostro corpo ringrazierebbe, credetemi.

In Italia l’offerta di ristorazione alternativa e consapevole è ancora molto bassa, abbiamo una tradizione culinaria troppo forte e radicata (per fortuna), eppure siamo il paese europeo con il numero più alto di vegani.
L’alimentazione vegana esclude tutti i prodotti derivati dagli animali, perfino il miele; è una scelta alimentare coraggiosa, alla quale mi sono avvicinata con ammirazione e curiosità. Nonostante non l’abbia adottata come stile di vita, vi ricorro nei momenti in cui il corpo è sovraccarico di assaggi poco salutari, per un break e un po’ di respiro prima di ripartire.

È proprio il mio amore democratico per il cibo ad avermi portato a scrivere questo post: oggi trovate due ricette contrapposte di una torta universalmente amata, la torta di carote.

La prima, classica, è una ricetta di Giancarlo De Rosa, Maestro panificatore con cui ho appena concluso un corso di panificazione fantastico.
È una versione morbida e delicata, perfetta per un tè con amici o una colazione soddisfacente.

La seconda, alternativa, è per i coraggiosi in quanto non solo è una ricetta vegana, ma anche crudista: tutti gli ingredienti utilizzati non prevedono cottura e l’impasto non contiene zucchero raffinato.
Mangiatori compulsivi di patatine in tubo e merendine al cioccolato astenersi: non riuscireste neanche a concepire l’idea di mangiare una cosa così salutare e dal gusto vero.


Note
Qualunque decidiate di fare, tenete presente che le due non sono paragonabili; avvicinarsi ad alternative sane e sconosciute andando contro alle abitudini è il primo passo per capire di cosa abbia bisogno il nostro corpo, ma l’adattamento richiede tempo. Dovremmo riuscire ad arrivare ad un giusto equilibrio per poter soddisfare il palato con i cibi elaborati e il corpo con quelli semplici.

Non dimenticate che crudista e vegano non sono sinonimi di dietetico: la seconda torta che vi propongo non contiene zuccheri raffinati ed è ricca di grassi buoni, di sostanze benefiche e di fibre, ma è stracolma di frutta secca, molto calorica; se siete a dieta, cercate di accontentarvi di una piccola porzione o mi maledirete.
Le alternative sane inoltre, sono spesso tutt’altro che economiche, soprattutto perché il costo della frutta secca è salito vertiginosamente. Se dovete limitare le spese, alternate i desserts crudisti a soluzione più economiche e fatene porzioni più piccole. In questo caso potete dimezzare la ricetta, oppure, una volta presa dimestichezza, sostituire anacardi e noci pecan con altri tipi di frutta secca altrettanto valida.

Torta classica alle carote
Ingredienti
per una tortiera da 26 cm ø oppure 3 tortiere da 16 cm ø

albumi               100 g
zucchero             50 g

burro                150 g
zucchero             100 g

tuorli               100 g
latte                50 g
farina               00 175 g
lievito in polvere   16 g

carote               250 g
farina nocciole      100 g
cannella             mezzo cucchiaino
buccia limone        mezzo

gelatina
granella nocciole

Preparare tutti gli ingredienti separati; se il burro è freddo passarlo prima velocemente nel microonde, deve essere morbido.
Setacciare la farina con il lievito per dolci in polvere, assicursi che le uova siano a temperatura ambiente e grattugiare finemente le carote.

Iniziare con la meringa: cominciare a montare gli albumi con un terzo dello zucchero, a media velocità. Quando cominciano a montare aggiungere a pioggia metà dello zucchero rimasto e aumentare la velocità; completare con l’ultima parte una volta che sono diventati bianchi, continuare fin quando non siano fermi (capovolgendo la ciotola non devono cadere giù per capirci, non montateli più del necessario).

Trasferire il composto in un’altra ciotola se avete l’impastatrice, così potete riutilizzare il recipiente: non occorre lavarlo.

Montare il burro e lo zucchero con la frusta, prima a velocità media poi massima; pulire le pareti del recipiente con una spatola e continuare a montare. L’ideale sarebbe passare un cannello a gas all’esterno della ciotola per riscaldare leggermente il burro e garantire una montata migliore (ovviamente solo se avete un’impastatrice di acciaio).

Una volta ottenuto un composto liscio e cremoso, abbassare la velocità e aggiungere metà delle uova a filo, una per volta, lasciando che vengano incorporate nell’impasto.
Alternare con la farina setacciata con il lievito e il latte, sempre in piccole quantità e a velocità moderata.

Cambiare utensile, se avete l’impastatrice utilizzate la foglia, se impastate a mano prendete un cucchiaio di legno o una marisa.
Aggiungere la buccia di limone e la cannella, poi la farina di nocciole e infine le carote grattuggiate.

Riprendere gli albumi montati, aggiungerne un terzo all’impasto e mescolare bene; questo passaggio serve per ammorbidire l’impasto e agevolare l’aggiunta degli albumi restanti. Aggiungere il resto in due volte mescolando dal basso verso l’alto molto delicatamente, per non smontare il composto.

Trasferire nella tortiera foderata di carta forno o oliata e infarinata, livellare delicatamente e infornare a 180° forno statico o 170° ventilato.
Aprite il forno solo quando vi sembrerà cotta, almeno dopo una mezz’ora e fate la prova stecchino per verificare la cottura: inserite uno stuzzicadenti nel centro, fino in fondo, deve uscire asciutto.

Lasciate intiepidire e capovolgete su una griglia per farla raffreddare completamente.
Utilizzate la parte liscia per decorarla, potete spennellarla di gelatina e granella di nocciole o provare altre decorazioni a piacere.


Torta di carote alternativa (crudista, vegan ed eventualmente gluten-free)
Ingredienti
per una tortiera di 24 cm ø

Base
mandorle             120 g
noci pecans          60 g
fiocchi d’avena*     50 g

datteri              15 pezzi o 10 se grandi
farina di cocco      50 g
cannella             2 cucchiaini
noce moscata         mezzo cucchiaino
acqua                60 ml

carote               400 g

Glassa
anacardi             120 g
nocciole             80 g
vaniglia             2 cucchiaini
sciroppo d’agave**   4 cucchiai
acqua

* se soffrite de celiachia o di intolleranze al glutine sostituite il peso dell’avena con pari peso di un altro cereale in fiocchi gluten free, oppure con farina di riso, quinoa ecc. Regolatevi con le quantità, l’impasto deve essere morbido, ma non acquoso.

** se non siete vegani potete sostituirlo con il miele di acacia o millefiori.


Mettere in un mixer le mandorle, le noci pecans e i fiocchi d’avena e ridurli in granella.

Aggiungere i datteri, la farina di cocco e le spezie e mixare il tutto, aggiungendo l’acqua gradualmente.

Unire le carote e mixare fino ad incorporarle totalmente; se il mixer è troppo piccolo grattugiatele prima separatamente.

Trasferire l’impasto in una tortiera a cerniera oliata leggermente e eventualmente coperta di carta forno e schiacciarlo con un cucchiaio.

Congelare un’ora o due, in alternativa lasciatela una notte in frigorifero.

Per la glassa, mixate gli anacardi, le nocciole, la vaniglia e lo sciroppo d’agave, aggiungendo l’acqua a filo, quanto basta per ottenere una consistenza cremosa.
Io ho fatto il doppio delle dosi, se utilizzate una toriera grande la glassa sarà un po’ sottile, ma più economica ;-)
Stenderla sulla base fredda e riporre due ore in congelatore per una consistenza ottimale.

Cospargere a piacere con farina di cocco e sciroppo d’agave.

giovedì 13 marzo 2014

"Andare in bianco" nel forno

Sarà successo ad alcuni di voi di trovare la frase "cuocere in bianco" durante l’esecuzione di una ricetta.
Ovviamente l’autore non forniva indicazioni più specifiche, dando per scontata la vostra ferratezza sull’argomento, ma non tutti sono tenuti ad avere la scienza infusa; tra l’altro è una tecnica talmente usata, da essere universalmente accettata e catalogata tra le cose ovvie della vita e magari quasi vi vergognate un po’ a chiedere delucidazioni ad altre persone.

Se questa espressione vi ha sempre fatto pensare più ad una défaillance dell’apparato fisico umano (“andare in bianco” ;-)) piuttosto che ad una tecnica culinaria, questo post fa per voi. Inutile dire che anche i più esperti potrebbero comunque scoprire che esistono metodi più efficaci del loro…


Con l’espressione “cottura in bianco”, si intende il passaggio nel forno di fondi in pasta brisée o pasta frolla, prima che vengano farciti con gli altri ingredienti previsti nella ricetta; è essenziale nel caso si vogliano realizzare quiche o tartes con farce molto liquide, che versate direttamente impedirebbero alla base di cuocersi lasciandola cruda e indigesta.

I fondi in questione devono essere ricoperti prima di essere cotti in bianco, per avere maggiore stabilità; questa operazione si può evitare unicamente per le ricette di impasti che non si deformano in cottura, ma è una rara eventualità. Se non ricoprite i vostri fondi crudi prima di passarli in forno, i bordi crolleranno e si formeranno delle bolle sulla base, meglio evitare.


Molti consigliano di ricoprire la base cruda con carta forno e fagioli, io vi consiglio piuttosto di usare materiali più modellabili come pellicola per alimenti (mi raccomando, dovete scegliere quella speciale che tiene la cottura in forno, in Italia non si trova ovunque) oppure alluminio e di versarvi all’interno farina, riso, o al massimo lenticchie crude, più gli elementi sono piccoli e più arriveranno negli angoli, garantendo dei bordi perfetti.


Vediamo ora i vari passaggi:

Imburrare la tortiera utilizzando burro a temperatura ambiente, insistere sui bordi, in modo da evitare che la frolla si deformi o si rompa. Stendere l’impasto dello spessore desiderato e della grandezza giusta in base alla tortiera scelta. Se fosse troppo fragile, aggiungervi una minima parte di liquido (uova, latte, acqua…)
Arrotolare dunque la pasta sul mattarello per trasportarla agevolmente sullo stampo.

Far arrivare l’impasto negli angoli accompagnandolo e pressandolo delicatamente con le dita. Con il mattarello, rimuovere i bordi in eccesso.
Porre in frigo per almeno 15 minuti, questa operazione garantirà una stabilità uteriore in cottura.

Bucherellare il fondo con una forchetta e ricoprirlo con pellicola speciale o alluminio, la superficie deve essere sufficientemente ampia per poter coprire ampiamente i bordi della pasta; io ho fatto una croce usando due fogli di pellicola uno sull'altro.
Versare all’interno l’ingrediente scelto (usate ingredienti economici, non potrete riusarli per altri scopi; conservateli in un barattolo, potete farci tantissime cotture in bianco prima di doverli buttare).

Distribuite e pressate con le mani in modo che tutta la superficie sia ricoperta in modo omogeneo.
Richiudete bene i lembi di pellicola o alluminio e mettete in forno a 170° 10 minuti se vedete che i bordi cominciano a dorarsi leggermente, in caso contrario arrivate a 15 minuti.

Togliere la copertura e rimettere in forno il tempo necessario a far dorare anche la base, il tempo medio si aggira intorno ai 10 minuti.
La cottura deve essere completa solo nel caso dobbiate riempire la vostra base con una farcia che non richiede una cottura in forno (come nel mio caso, vedete che è ben dorata?), altrimenti sfornatela quando comincia a prendere colore debolmente, altrimenti diventerà eccessivamente croccante nella seconda cottura.

Ora anche voi siete degli esperti!

martedì 11 marzo 2014

Decalogo a puntate per sognatori di cucine 5

5.
Pur lavorando nella ristorazione, vi capiterà spesso di non avere tempo o modo per mangiare, oppure che il pasto riservato a voi sia appena commestibile, soprattutto nei ristoranti buoni.
È assurdo lo so, ma è così.



Spiegazione
Il giorno che ho cominciato a lavorare nel primo grande albergo, arrivata l'ora di pranzo (l'orario degli addetti ai lavori si aggira intorno alle 11:30, prima dell'arrivo dei clienti) sono stata condotta in una specie di mensa interna rifornita dai cuochi stessi; da ingenuotta mi aspettavo una qualità, una certa tecnica, un impegno nel far da mangiare ai colleghi.
Quel giorno, non me lo dimenticherò mai, c'erano gli spaghetti alle vongole; erano annegati in pomodoro in lattina appena riscaldato, insaporiti con tracce di vongolette tristissime e già sgusciate che vendono in barattolini, di olio e sale neanche l'ombra. Uno shock, che si è intensificato in tutti i pasti successivi passati lì dentro.
Ignoravo ancora che quello fosse il Bengodi.



In ristoranti in cui il cibo era divino, a noi toccavano insalate russe con finta maionese e couscous all'aceto, o patate annegate nel burro e pesce congelato che, ancora non riesco a trovare una spiegazione a ciò, i cuochi lasciavano sempre mezzo crudo. Neanche a casa succede, o sbaglio?
Nelle pasticcerie dovevo quasi ringraziare quando mi portavano tramezzini del discount con prosciutto di dubbia provenienza.
In uno dei migliori ristoranti al mondo, i pasti per il personale
(eravamo lì pranzo e cena) non erano proprio contemplati, non c'era tempo, troppo lavoro. Quindi la notte, invece di dormire, oltre a dover stirare le divise, dovevo anche prepararmi i pasti, onde evitare di finire all'obitorio per stress e scarso nutrimento.



L'unica esperienza degna di nota e di ricordi nostalgici, è stata una stagione estiva, quando mangiavamo tutti insieme tra una natura meravigliosa, sotto il sole, consumando pranzi e cene di qualità, perché lo chef ci teneva e non accettava di darci gli scarti.

Ma è stata un'eccezione, i pasti del personale sono frustranti e avvilenti. E se non ci saranno proprio, avrete fame senza poter mangiare nessun piatto completo che cucinate; questa sarà la scusa che vi farà allungare le mani su tutto ciò che vi circonda e se avete scelto la pasticceria, le uniche cose che troverete sono ritagli di pasta sfoglia, creme al burro e gelati; i maledetti si coalizzeranno per depositarsi sulle vostre cosce tutti nello stesso momento, proprio quando pensavate di averla scampata...

A meno che non siate persone che dicono addio al senso di fame sotto stress, sarete in difficoltà.

venerdì 7 marzo 2014

BBE: Best Brunch Ever

Come promesso, oggi vi parlo del brunch di domenica scorsa; non era nato proprio come argomento di post, ma è venuto talmente bene che ho cambiato idea.
L’evento in questione è stato organizzato da un gruppo di persone molto avanti i quali, pur non facendo il mio stesso lavoro, di cucina ne capiscono eccome.
Questo dettaglio ha causato in me uno stato confusionale, tanto che mi sono svegliata domenica mattina con una terribile ansia da prestazione; sì perché il menu e l’esecuzione spettavano a me, agli altri illuminati toccava mettere a disposizione location, ingredienti e idee.
Insomma, dovevo preparare un brunch per sei ed ero più agitata di quando dovevo far uscire dolci per 136 coperti ogni giorno.
Comunque ho tirato un bel respiro, ho stipato in due buste più o meno metà della mia cucina e sono partita all’avventura.

Il giorno precedente avevo già dato il via a impasti vari (altrimenti il brunch sarebbe diventato una cena, visto che piombare alle 6:00 di domenica a casa dei poveri malcapitati per cominciare a preparare non sarebbe stato carino) e scelto l’ingrediente protagonista della giornata: la ricotta.
Vi chiederete come mi è venuto in mente e io vi rispondo: la settimana scorsa è stato il compleanno di mio papà, il quale adora la crostata di ricotta al contrario di me; negli anni ho provato innumerevoli ricette convinta di trovarne una che mi soddisfaceva e finalmente ce l’ho fatta: non mi è solo piaciuta, sono quasi svenuta al primo assaggio e mi sembra giusto condividere con voi questa ricetta.
Insomma il menu è stato un pretesto per condividere questa mia scoperta con il resto dei commensali riproponendo lo stesso dolce in monoporzioni.

Come vi accennavo, le mie “cavie” sono dei grandi gourmets e la spesa era stata fatta da Eataly (mica pizza&fichi… oddio ora che ci penso che buonaaa), l’olio proveniva da uliveti a noi cari in Toscana, le marmellate che accompagnavano i nostri formaggi locali erano sapienti miscele delle nonne, il miele l’avevo portato io (era di fiori di Erica proveniente dalla Corsica), la maggiorana fresca era stata colta la mattina nel giardino di una di noi, il vino era stato donato da fornitori fidati, insomma avete capito!
Non mi stancherò mai di dire che gli ingredienti fanno la differenza ragazzi…

Da questa esperienza paradisiaca ho estrapolato tre ricette di semplice esecuzione, sono sicura che saranno apprezzate anche da voi e che sul vostro viso si dipingeranno le stesse espressioni della nostra tavolata domenicale ;-)

A parte per il primo piatto, di mia invenzione, le altre due ricette non sono farina del mio sacco.
I salatini per l’aperitivo li ho presi da un libro a me molto caro, “Al forno” di Isidora Popović, ho solo modificato la ricetta secondo il mio procedimento e utilizzato il formaggio francese Comté al posto del Gouda, voi potete fare lo stesso, basta scegliere un formaggio ricco e saporito; e la famosa crostata viene invece da un altro fantastico libro che si chiama “Dolci ad occhi chiusi” di Mariapaola Dèttore. Entrambe hanno storie speciali ed entrambe condividono con me la passione viscerale per questo mondo.
Le ricette sono facilissime, dovete credermi, se vi sembrano lunghe è solo perché le ho arricchite di dettagli e consigli per garantirne la riuscita.

Salatini al Comté e nocciole tostate (per circa 30 pezzi)

farina 00 o 0             140 g
burro                     70 g
formaggio                 70 g
bicarbonato               ½ cucchiaino
nocciole                  35 g (per me 50 g)
sale                      1 cucchiaino
acqua                     2/3 cucchiai

Tostare le nocciole in forno a 180° su teglia con carta forno (la frutta secca andrebbe sempre tostata prima di essere inserita negli impasti, gli aromi si sviluppano in maniera molto più pronunciata). Farle freddare completamente e tritarle grossolanamente su un tagliere con un coltello; potete anche utilizzare un mixer, ma attenzione a non ridurle in polvere, dovete ottenere piuttosto una granella grossa.

Sciogliere il sale in un cucchiaio di acqua fredda (questa operazione impedisce che i granelli di sale rimangano interi affiorando sulla superficie dell’impasto; l’ acqua deve essere fredda per non scaldare la pasta).

Pesare tutti gli ingredienti, per ultimo il burro freddissimo; tagliare quest’ultimo a cubetti di 1 cm circa.

Mescolare la farina, il burro e il formaggio per ottenere un impasto sabbioso come già spiegato in questo post.

Aggiungere il bicarbonato, le nocciole e l’acqua salata e mescolare il tempo necessario ad incorporarli. Se l’impasto fosse poco morbido e dovesse spezzarsi, aggiungere ancora fino a 2 cucchiai di acqua, trovate la motivazione completa di questo passaggio nei commenti di questo post.

Lavorare velocemente l’impasto su un piano leggermente infarinato senza scaldarlo e formare un rotolo di 3 cm circa di diametro.

Avvolgerlo con della pellicola per alimenti e porlo in frigorifero per almeno un’ora.
Con un coltello affilato, affettare delicatamente il rotolo in fette di 1 cm di spessore; porle distanziate in 2-3 teglie ricoperte di carta forno e cuocere 20 minuti a 150° forno statico, devono essere leggermente dorati.
Se siete stati lenti nel tagliare il salsicciotto e l’impasto si è scaldato, ponete le teglie 10 minuti in frigorifero, i vostri salatini manterranno maggiormente la forma.

Farli freddare prima di gustarli.

Pennette al farro biologico con peperoni arrosto e ricotta salata (per 6 persone)

penne al farro            500 g
peperoni                  5 pezzi
ricotta salata            600 g
aglio                     2 spicchi
maggiorana fresca         4 cucchiai
olio evo di qualità
sale grosso
sale fino

Ricetta semplicissima, ma efficace.

Preparare i peperoni: si possono fare arrosto nel forno, lasciarli finché non sono teneri, farli freddare e poi togliere delicatamente la pelle.
Io preferisco un altro metodo, perché rimangono più sodi e posso terminare la cottura in padella: portare a ebollizione circa un litro di acqua con un pugno di sale grosso e immergervi i peperoni puliti dai semi e dalle parti bianche e tagliati in quattro parti. Aspettare che si ammorbidiscano, ma senza sfaldarsi, devono essere ancora sodi. Scolarli, metterli velocemente in uno o due sacchetti del freezer a seconda della capienza e chiuderli bene. Lasciar intiepidire.
Questo sistema ammorbidisce ulteriormente i peperoni e permette di levare la pelle.
Qualsiasi sistema scegliate, vi conviene avvantaggiarvi prima, in modo da averli già pronti.
Tagliarli a julienne o in piccoli tocchetti.

Grattugiare la ricotta salata; noi abbiamo preferito la versione morbida, aveva un sapore molto delicato e una consistenza eccezionale, ma potete utilizzare anche quella dura più stagionata e saporita, in questo caso attenzione al sale.

Prelevare le foglioline dai rametti di maggiorana e sminuzzarne tre quarti circa.

Mettere una pentola capiente con abbondante acqua sul fuoco. Una volta raggiunta l’ebollizione salare con un pugno di sale grosso, far riprendere l’ebollizione e calare la pasta.

Nel frattempo scaldate quattro cucchiai di olio in una padella capiente, con due spicchi di aglio tagliati a metà ai quali avrete tolto l’anima verde interna (è la parte più indigesta) e la maggiorana tritata. La temperatura non deve essere eccessiva, l’aglio non deve bruciarsi.
Dopo pochi minuti aggiungere i peperoni e salarli.
Quando la pasta è quasi pronta, aggiungere metà della ricotta.

A questo punto volendo potete anche prelevare la metà del condimento di peperoni e ricotta e ridurla in crema con un frullatore a immersione in un contenitore cilindrico, otterrete una pasta più cremosa.

Scolare la pasta ancora al dente e saltarla nella padella con i peperoni (vi ricordate questo post)?

Dividere nei piatti, aggiungere la ricotta rimasta, le foglioline intere di maggiorana e un filo di olio a crudo.

Servire subito.

Crostata di ricotta di bontà superiore (dose per una torta da 24 cm circa)

Frolla:
farina 00 debole          220 g
zucchero                  70 g
burro                     50 g
strutto                   50 g
tuorli                    2
acqua                     1 cucchiaio
sale                      1 pizzico

Ripieno:
uvetta                    100 g
rhum                      2 cucchiai
burro                     100 g
ricotta fresca di mucca   350 g
zucchero                  150-200 g (io 160 g)
uova                      2
pangrattato               40 g
pinoli                    40 g (sono facoltativi)
semi di                   ½ vaniglia
scorza                    1 limone

zucchero a velo

Realizzare la frolla come spiegato qui, preferibilmente il giorno prima.
Lo strutto va aggiunto insieme al burro; potete anche sostituirlo con quest’ultimo, in questo caso non avrete bisogno del cucchiaio di acqua alla fine perché il burro, al contrario dello strutto, contiene una percentuale di acqua intorno al 15%-18%.

Stendere la frolla delicatamente e con poca farina, lo spessore ideale per questa crostata è 4-5 mm.
Tenetene da parte un quarto e con il resto foderate gli stampi desiderati, maneggiandola delicatamente senza scaldarla.
Io ho utilizzato sei stampi da 7 cm di diametro per crostatine individuali, più uno stampo da 16 con fondo estraibile.
Rimettere in frigo.

Nel frattempo preparare il ripieno.
Per prima cosa sciogliere il burro, in modo che abbia tempo per freddare.
Sciacquare bene l’uvetta in acqua calda, scolarla e versarvi sopra il rhum. Lasciare da parte.
Grattugiare finemente la buccia del limone e prelevare i semi della vaniglia.

Mettere la ricotta in una ciotola; se ne avete scelta una molto fresca e acquosa sarebbe consigliabile strizzarla in un panno pulito.
Lavorarla bene con un cucchiaio di legno o con una spatola per renderla omogenea e cremosa, aggiungere lo zucchero, le uova sbattute leggermente, il burro fuso, il pangrattato, l’uvetta strizzata, i pinoli, i semi di vaniglia e la buccia del limone, sempre mescolando delicatamente.

Accendere il forno statico a 190-200°.

Versare il ripieno nei fondi freddi, stendere la frolla rimasta e ricavare delle strisce regolari della larghezza di circa 1 cm e utilizzarle per fare la griglia.
Io le ho cosparse di mandorle a lamelle.

Infornare un’ora per una torta grande, quelle piccole erano pronte in circa 35 minuti. Devono essere ben dorate e sode, ma non secche.
Lasciar raffreddare prima di sformarle e spolverarle leggermente di zucchero a velo. Ottime servite ancora leggermente tiepide.

Un po’ di organizzazione
Sarebbe preferibile preparare l’impasto per i salatini il giorno prima e farlo riposare tutta la notte; potete anche prepararne dosi maggiori e congelare i vostri rotoli fino ad un mese.
In questo caso farli scongelare completamente in frigorifero e procedere come indicato precedentemente.
Lo stesso vale per la frolla, preparata il giorno prima assicura una riuscita migliore e più tranquillità per voi.
Preparate anche i peperoni con anticipo se avete paura di avere troppe cose da fare e di farvi prendere dall’ansia.

In linea generale posso dirvi che se la compagnia è ben scelta siete già un passo avanti; se poi il cibo fa da giusta cornice, il brunch sarà un’esperienza paradisiaca (nel nostro caso avevamo anche una casa luminosa nel centro di Roma e tante idee da condividere).

Noi abbiamo già deciso di replicare, e voi?

Bibliografia:

Popović I., Al forno, Logos, 2010
Dèttore M., Dolci a occhi chiusi, Antonio Vallardi Editore, 2011