domenica 29 giugno 2014

Pasta brisée

Eccomi!!
Ieri abbiamo inaugurato ufficialmente il nostro locale nonché la mia parte di pasticceria...
Vi posto le poche foto che sono riuscita a scattare prima e dopo il delirio, prossimamente ne arriveranno altre!


Mentre mi sto abituando agli spazi della nuova pasticceria, vi lascio la ricetta versatile della mia pasta brisée.
Definirla “mia” è leggermente azzardato, perché non so dove l'avessi trovata io, ma recentemente ho scoperto per caso che è la stessa ricetta usata da Christophe Felder e Katherine Kluger (lui è uno dei più famosi pasticcieri francesi, lei ha un'altra storia, magari ne parleremo un giorno).
Quindi di chi sia non ci riguarda, l'importante è che si tratti di una versione molto soddisfacente!

La utilizzo soprattutto per le quiches che sto vendendo in questi giorni, i clienti apprezzano :-)
Dopo averla cotta in bianco potete farcirla a piacere; oggi ne ho realizzata una con erbette di campo, uova e piselli. Dopo aver farcito il fondo con gli ingredienti scelti, ricopriteli con una salsa realizzata mescolando 125 g di latte, 125 g di panna, 1 tuorlo, 12 g di farina, un pizzico di sale e un pizzico di pepe e infornate a 180° fin quando non si rapprende, ci vorrà una mezz'ora circa.

Torno tra la farina, baciii!

farina         200 g
burro freddo   90 g

acqua          10 g
sale           5 g

uovo           1
acqua          10 g

Mescolare la farina e il burro freddo a cubetti nell'impastatrice con foglia fino ad ottenere un impasto sabbioso.

Aggiungere il sale sciolto nell'acqua (questo passaggio è un'accortezza professionale, evita la formazione di macchioline di sale sulla superficie della pasta).
Aggiungere l'uovo (se avete moltiplicato la dose aggiungete un uovo alla volta) e la seconda parte di acqua, mescolate giusto il tempo di amalgamare il tutto, se mescolate troppo a lungo otterrete una brisée troppo dura.

Finite di impastare velocemente a mano e stendete la pasta a 3 mm tra due fogli di carta forno, eviterete così l'aggiunta di farina durante la stesura.

Lasciate riposare due ore in frigorifero e usatela per foderare una tortiera.
Bucherellate la base e cuocete in bianco (spiegazione e approfondimenti qui).

giovedì 26 giugno 2014

Pronti?


Eh lo so... vi state chiedendo se non vi abbia già abbandonato. Ovviamente no!
Solo che come vi accennavo in questo post, da una settimana ho la totale responsabilità di una pasticceria in Toscana.
E dal mio laboratorio vedo il mare.
E ieri mi è arrivato il nuovo forno Rational, che in 4 minuti netti ha raggiunto i 170°C e mi sembra quasi di poter pilotare un'aereo; e ho dovuto scegliere il mio piano di marmo personale.
E proprio oggi tramite la vetrata aperta ho ricevuto i complimenti per la torta meringata albicocche e timo che era nella mia vetrina e quando racconto la mia carriera, alla frase “ero capo pasticciera in un 3 Stelle Michelin a Parigi” posso quasi scorgere un indietreggiare reverenziale e ammirazione negli occhi.

Tutto ciò nasce in collaborazione con una serie di luoghi e persone speciali, date un'occhiata a questo sito per capire di cosa sto parlando... il mio laboratorio sarà ospitato dal locale "Il Salino", già partito alla grande per merito di Francesco.
Grazie a tutto questo capisco cosa sono riuscita a fare, ma soprattutto ciò che ancora mi aspetta.
Venite a scoprirlo anche voi, dai primi di luglio si parte alla follia ;-).


mercoledì 18 giugno 2014

Decalogo a puntate per sognatori di cucine 10

10. L'amore ai tempi della ristorazione



Alcune delle domande più comuni sul mio lavoro riguardano le storie d'amore.
E allora lasciatemi dire che sì, ci sono stati baci nelle celle frigorifere e sì, uno chef che sa maneggiare il cibo sa fare tante altre cose (non pensate male, in parte sono portavoce di racconti altrui).

A parte questo, se avete letto tutte le puntate precedenti, avrete capito che il tempo da dedicare al divertimento sarà veramente minimo.



Se siete una donna e siete normale, vi accorgerete presto che fare questo lavoro a vita da dipendente nelle cucine è impossibile. Probabilmente penserete che la soluzione sia iscrivervi ad un corso di cake design, purtroppo ci hanno già pensato in troppe prima di voi. Cominciate a pensare ad un piano B, è fondamentale.

Se troverete tempo da dedicare ad un altro essere umano, sceglietevi il partner con oculatezza: in genere si privilegiano uomini che fanno il nostro stesso lavoro, perché a fine giornata non hanno niente da dire se la casa sembra un accampamento di barboni e soprattutto perché possono riconoscere la loro stessa stanchezza guardandoci negli occhi.
Inoltre, se sceglieste un ragazzo che ha deciso di dedicarsi ad altre attività nella vita (saggio), rischiereste di passare per la ragazza immaginaria, visto che manchereste a tutti gli aperitivi settimanali e avreste difficoltà a pianificare vacanze che non siano last-second.



Se siete un uomo, in teoria possedete più forza fisica e non temete la fatica; all'inizio il vostro lavoro vi farà entrare probabilmente in molti letti, perché sarà la gestualità, saranno le cicatrici sulle braccia, sarà il sudore davanti ai fuochi accesi e la padronanza nel gestirli, insomma uno chef è sexy.

Perfino la puzza di cucina all'inizio può entusiasmare, non chiedetemi perché; ma dopo qualche tempo la puzza sarà puzza e basta (e anche la pancia perderà il suo fascino).
Vi prego, cercate di alimentare sempre l'interesse e la passione, non solo facendovi la doccia tutte le sere. Non parlate solo di capesante, nasturzio e scalogno; informatevi sul mondo che va avanti, anche se potete guardarlo solo da una finestrella.
Il cervello è un muscolo, tenetelo in allenamento (un semplice calcolo del food-cost è meglio di niente, ma non basta).

Non permettiamo a questo lavoro stupendo di trasformarci in bestioline...



Bene, il mio intento era sdrammatizzare e ridere sulla mia personale esperienza nelle cucine, ma quello che ho scritto è reale.
Se dopo aver letto tutto ciò siete più motivati che mai ad entrare in una cucina, allora siete spacciati.
Non mi resta che dirvi che è vero, il nostro è un mondo durissimo, ma è il più bello che io conosca. E che ogni volta che comincerà il servizio, ogni giorno, gli odori e i suoni che sentirete vi faranno sentire fortunati per tutto ciò che fate.

Vi consiglio di studiare finché ne avete la possibilità, perché se un giorno avrete la fortuna di scrivere libri o sostenere interviste, la cultura e la capacità di espressione saranno importanti; partite da una formazione tecnica solida, vi servirà per avere fiducia in voi nel caso vi capiti una carriera veloce.
Siate pronti a fare le valigie: se non temete gli spostamenti avrete un lavoro assicurato, guadagni maggiori, soddisfazioni ed esperienze di vita fondamentali.
Spingete al massimo nei primi anni, puntate ai ristoranti 2-3 stelle Michelin, perché da giovani la capacità di sopportazione è leggermente maggiore.
Ringraziate tutti i giorni per le opportunità che vi offriranno, ma non fatevi mangiare in testa, siete persone dopotutto.
Tenete a voi stessi tutelando la vostra salute, questo lavoro è già difficile di per sé, figuriamoci se il corpo si ribella...

Buona fortuna ragazzi, magari un giorno ci vediamo a Masterchef (sì, ma io sarò il giudice eh!).


venerdì 13 giugno 2014

Budino di riso: un omaggio alla Toscana e un nuovo inizio

Ho passato in Toscana 5 anni della mia vita: quelli più belli, gli anni del liceo, delle amicizie che durano per sempre, degli amori innocenti (e incoscienti) che non si scordano più, del gioco della bottiglia, delle risate, delle scoperte, della consapevolezza.
Gli anni in cui ogni cavolata può diventare un miracolo oppure un macigno, a seconda dei casi; gioia pura o dolore profondo, bianco o nero.
Spensieratezza, responsabilità.
Freddo, caldo, comunque brividi.

Le prime scoperte culinarie: una pizza con straccetti di mozzarella di bufala che ancora ricordo, la pizza-sfoglia che non conoscevo, il gelato al limoncello, la sangria fatta da noi, il cocco spaccato con il cacciavite, le patatine fritte cucinate con l'alba in faccia, la schiaccia con l'uva, i lecca-lecca per i "baci indiretti".

E poi il budino di riso, simbolo di quegli anni, ogni volta un cerotto sul cuore.
Ho giurato a me stessa di tornarci un giorno in Toscana e di lavorare e infornare osservando il mare; ecco, inaspettatamente il momento giusto è arrivato, frutto di coincidenze incredibili e mi ritrovo circondata di bagagli, ancora, per un nuovo viaggio di scoperta, in cerca di altri cerotti sul cuore.
Perché ogni volta che desidero qualcosa con tutta me stessa succede e basta.

Questo post di ricordi e profumi è dedicato a Claudia, Elisa, Eleonora, Federico, Giulia, Luca e Nicola; e a Pietro, a cui non ho detto di essere diventata una pasticciera. Mai potrò dimenticare.
Alla mia famiglia e ai miei amici romani, che in questi mesi hanno ricaricato con pazienza le mie batterie.
A tutte le persone che mi aspettano in questa nuova avventura, perché mi hanno aperto la porta non solo di una pasticceria, ma anche di casa.
A voi, che mi seguite sempre più numerosi e mi fate amare ancora di più questo lavoro.
A Daniele, perché senza non avrei resistito nell'impossibile.
E a me stessa, alla matassa che sto dipanando e a tutte le cose che prima non capivo.

Tra pochissimo potrete trovarmi dietro un bancone a vista, di fronte alle onde. E sedervi ad un tavolino per assaggiare i miei dolci, tra cui questa personale versione del budino di riso. Finalmente.
Manca poco, vi dirò tutto ciò che volete sapere e vi aspetto a braccia aperte.

Ingredienti per 12 tortini 9x6 cm

Preparate in ordine:

Pasta frolla
seguite la ricetta di questo post

Crema pasticcera
preparate metà dose della crema di questa ricetta

Riso al latte
riso                          90 g

latte                         300 g
zucchero                      45 g
vaniglia                      mezza
limone                        1
burro                         15 g

Sciacquare il riso in acqua fredda e mettere a scolare.

Mettere in una casseruola il latte, lo zucchero, mezza bacca di vaniglia, la buccia di limone grattugiata e il burro. Portare a bollore a fuoco medio, aggiungere il riso e cuocere a fuoco basso per 10-12 minuti. Lasciar riposare fin quando il liquido non si è assorbito.


A questo punto potete servirvi della crema pasticcera e del riso al latte per preparare l'impasto dei vostri budini:

Crema di riso
burro morbido                 100 g
zucchero                      100 g

uova temp. amb.               75 g (uno e mezzo circa)
farina di mandorle            100 g

crema pasticcera   250 g
riso cotto         250 g
rum                           1 cucchiaio

Montare il burro e lo zucchero con le fruste, ottenendo una crema.
Aggiungere le uova a temperatura ambiente e la farina di mandorle, alternandole.

Unire la crema pasticcera e il riso cotto. Se si sono rappresi utilizzate le fruste per incorporarli al composto. Aggiungere un cucchiaio di rum (facoltativo).

Assemblaggio
Accendere il forno a 180°.

A questo punto far ammorbidire la frolla fuori frigo o passarla nell'impastatrice 30 secondi per renderla lavorabile; stenderla a 3 millimetri tra due fogli di carta forno, questo passaggio evita un'eccessiva aggiunta di farina durante la stesura e assicura quindi maggiore friabilità.
Foderare gli stampi scelti, io li ho preferiti rettangolari, ma i budini dovrebbero essere tondi o ovali; per facilitare il compito potete ritagliare rettangoli per la base e strisce per i bordi.

Mettere la crema di riso in un sac à poche (se siete alle prime armi date un'occhiata qui) e riempite i gusci di frolla fino al bordo.

Infornare a 180° forno statico (o 160°-170° se ventilato) per 30 minuti circa, finché i budini non saranno dorati.
Per me sono il top se mangiati a temperatura ambiente, con una leggera spolverata di zucchero a velo.

mercoledì 11 giugno 2014

Decalogo a puntate per sognatori di cucine 9

9. Più il ristorante in cui lavorate è figo più sarete voi a dover pulire.



Spiegazione
Prima di partire per la Francia, non avevo idea di cosa volesse dire entrare nell'Olimpo della ristorazione; perciò non dico mi aspettassi che mi avrebbero steso il tappeto rosso, ma credevo veramente che le condizioni lavorative sarebbero state direttamente proporzionali al prestigio del luogo.
Ecco, no.

Prima di quel momento l'unico strumento utilizzato da me medesima per tenere la pasticceria in condizioni apprezzabili era la scopa; tutti gli altri attrezzi erano inutili, perché la sera, dopo aver tolto il grembiule e spento la luce, lasciavo il posto a dei professionisti pagati esclusivamente per resettare il mio luogo di lavoro, che trovavo lindo e pinto l'indomani.
Non concepivo che ci fossero posti in cui ciò non fosse neanche lontanamente possibile.

L'ho imparato a mie spese. Più si sale di prestigio e più le imprese di pulizie sono praticamente un argomento tabù.
In alcuni ristoranti ho passato più tempo a svuotare cassetti per pulirli piuttosto che a stendere pasta frolla. E più pulisci più sembra che la cucina si sporchi maledizione; e più lavori più dovrai poi passare lo straccio.
Non prendetemi per una schizzinosa... ma quando, nell'unica ora libera pomeridiana, mi sono ritrovata a spostare frigoriferi per pulire tutto ciò che c'era dietro una lacrimuccia l'ho sentita scendere.



La situazione peggiora nei ristoranti con giorni di chiusura. L'ultimo giorno della settimana, se sei una persona seria, sai che dovrai lucidare la cucina dal soffitto fino al pavimento, passando ovviamente per i frigoriferi, la cappa aspiratrice e, ovviamente, il forno, che dovrai pulire con l'acido; in questa magnifica operazione, tutte le particelle che si sono depositate durante la settimana vanno rimosse, perché non è accettabile lavorare in una cucina dal forno sporco.
L'operazione intera è una specie di battaglia: il poveretto a cui tocca (si organizzano turni settimanali appositi o si estrae a sorte ;-)) se è intelligente comincia a cospargersi le braccia con pellicola o con sacchi della spazzatura, si copre la bocca con uno straccio e i capelli con il grembiule. Se poi è dotato di intelligenza superiore ha anche calcolato la divisa da indossare quel giorno, e cioè quella meno costosa.
Per scherzare prima dell'operazione passavamo le dita nella farina e ci facevamo segni sulle guance simili a quelli che hanno gli All Blacks prima di una partita. Perché è veramente una lotta tra te e il forno e soprattutto una lotta con te stesso per non piangere quando dopo aver passato l'acido vedi scorrere un fiume nero che poi dovrai togliere.



Se finisci il servizio a mezzanotte sai che fino alle 2 non uscirai da lì. Almeno.

Quindi, se già l'idea di spolverare in casa vostra vi attanaglia (come era per me), immaginate come sarebbe stendervi sul pavimento del ristorante e rimuovere con le mani tutto lo schifo che si deposita negli angoli di una cucina. Tutti i giorni.
Perché uno chef ha dentro l'amore incondizionato per il proprio lavoro; e in cucina dobbiamo essere puliti, a prescindere da eventuali controlli (rari).

Ho odiato in maniera viscerale i miei superiori che mi obbligavano a lucidare le cucine, ma quando mi sono ritrovata ad essere chef ho fatto lo stesso.
E ho urlato come non mai per due ditate su un vassoio, mi sono stesa per terra a disinfettare i frigoriferi, ho scatenato dipendenti contro di me per averli obbligati a ripassare lo straccio una seconda volta, ma ho insegnato loro a lavorare puliti e ordinati; che mi abbiano odiato o no, un giorno mi ringrazieranno, come ho fatto io con chi mi ha preceduto.

Rassegnatevi ad essere lindi e pinti, ne vale la pena.


lunedì 9 giugno 2014

Pie di ciliegie, grano saraceno e aceto balsamico

Pie di ciliegie: probabilmente uno dei motivi per cui mi ritrovo a lavorare tra burro, uova e farina...

I teledipendenti vissuti negli anni '90, non possono non ricordare una serie televisiva statunitense ideata da David Lynch: I segreti di Twin Peaks.
In breve, la serie è ambientata in una cittadina di montagna situata nello Stato di Washington; l'apparente tranquillità dei boschi viene turbata dal ritrovamento del cadavere di Laura Palmer, una delle ragazze più popolari della città, nonché figlia di uno degli uomini più in vista di Twin Peaks.
Le indagini affidate all'agente speciale Dale Cooper permetteranno di far affiorare il lato oscuro e nascosto del luogo e dei suoi abitanti, in un susseguirsi di colpi di scena e scene da brivido.

Ora, io all'epoca ero veramente piccolina; la mia curiosità mi avrebbe fatto sicuramente rimanere attaccata allo schermo per ore, ma forse grazie all'abilità genitoriale ho ignorato l'esistenza di Twin Peaks fino al compimento del ventiquattresimo anno di età; se sono riuscita ad uscire dalla mia ignoranza, devo ringraziare il mio coinquilino Alberto che all'epoca arrivò con un cofanetto di DVD e gli occhi che gli brillavano, dicendo di aver trovato il modo di riempire le nostre serate post lavorative cariche di depressione con qualcosa di veramente unico.
Insieme a noi anche Roberta, ogni sera ci piazzavamo in tre sul divano con la cena sulle gambe a dimenticare per ben due episodi le nostre incertezze.

Vi chiederete cosa c'entri questo con la pasticceria e con la ricetta: ecco, oltre a far capitolare tutte le donne del paese, l'agente Cooper si dilettava nell'affogare le sue preoccupazioni in enormi scatole di ciambelle e nella torta tipica del luogo: la pie di ciliegie appunto.
Tra l'altro l'attore che lo interpretava, Kyle MacLachlan, è lo stesso che interpretò poi il marito di Charlotte nella serie Sex & the City, uno dei cult tra le amiche di quegli anni e vederlo assaporare il ripieno di ciliegie mi faceva sempre un certo effetto; quel che è certo è che tutti e tre avremmo pagato per poter assaggiare quella torta.

È stato un contest a farmi ricordare della mia passione, così ho deciso di provare la ricetta; ho sostituito parte della farina bianca con grano saraceno e farina di mandorle e cambiato la forma; ho realizzato l'impasto il giorno prima, per il resto non ho apportato modifiche.

So che non è lei; non è la pie di Twin Peaks, ma ancora qualche prova e sarò soddisfatta e potrò finalmente sorridere come l'agente Cooper.

Ingredienti
6 pies da 10 cm di diametro e 5 cm di altezza oppure
una pie da 20 cm di diametro e 6,5 cm di altezza

Pasta:
farina “00” o “0”      600 gr
zucchero               1 cucchiaio
pepe nero macinato     1/2 cucchiaino
sale                   un pizzico
burro                  225 gr + 15 gr
acqua fredda           4-6 cucchiai

Ripieno:
ciliegie disossate     1,5 kg
zucchero di canna      220 gr
miele                  2 cucchiai
aceto balsamico        3 cucchiai
estratto di vaniglia   1 cucchiaino
chiodi di garofano     1 cucchiaino
farina                 75 gr
maizena                2 cucchiai
burro sciolto          3 cucchiai

Glassa:
uovo sbattuto          1
cucchiaio d'acqua      1

Per la base, mescolare in una ciotola la farina bianca, lo zucchero, il sale e il pepe. (Io ho sostituito 200 g di farina con 100 g di farina di grano saraceno e 100 g di farina di mandorle).
Tagliare il burro a cubetti su un tagliere (per non scaldarlo con il calore delle mani) e versalo nella ciotola, mescolare per ottenere un impasto sabbioso.
Iniziare ad aggiungere i cucchiai di acqua fredda.

Per capire quando fermarsi, prendere un pezzo di impasto e strizzarlo, se si sbriciola avrete bisogno di ancora un po' di acqua (io ne ho messi circa 10 cucchiai).

Se realizzate l'impasto il giorno prima, mettetelo in frigo coperto di pellilola; altrimenti continuate a leggere.

Dividere l'impasto in due, uno di 2/3 e l'altro di 1/3.
Stendere la pallina più grande, la base della pie, su di un piano infarinato, fino a 1 cm di spessore. Mettere l’impasto in una tortiera a cerniera imburrata ed infarinata e tagliare i bordi di pasta in eccedenza.
Stendere l'impasto più piccolo e fare delle striscioline; metterle su della carta forno e riporre in frigo per 30" insieme alla tortiera con la base, ricoperte con pellicola trasparente.

Io ho realizzato pies più piccole, tagliando dei cerchi di pasta delle dimensioni della base dello stampo e utilizzando delle strisce per i bordi; dopo averle riempite ho coperto con un disco di pasta dal diametro maggiore, premendo bene sui bordi.
Di seguito le immagini del procedimento, se realizzate una pie unica leggete le indicazioni più in basso.

Per il ripieno, mettere tutti gli ingredienti in una pentola a fuoco medio-alto e portare a bollore, girando ogni tanto. Abbassare il fuoco e cuocere il composto a fuoco lento per 30 minuti, girando ogni 5 minuti e facendo attenzione a non rompere le ciliege. Al termine il ripieno si sarà addensato. Togliere dal fuoco.

Riscaldate il forno a 190°.

Per la glassa (è più una doratura, ma comunque...) sbattere l'uovo e l'acqua.

Togliere dal frigo la base e le striscioline e spennellarle con la glassa.
Versare il ripieno nella base e poi decorare con le strisce; tagliare l'eventuale eccesso di pasta e alzare leggermente le estremità delle strisce così che non scenderanno sul bordo. Spennellare i bordi con la glassa di acqua e uovo.
Inforna per 1h e 20/30 minuti e dopo 45 minuti ripassare la torta con la glassa. Se vedete che i bordi si scuriscono troppo ricopriteli con carta stagnola.
Far freddare da 45 minuti fino ad 1h prima di servire.

domenica 1 giugno 2014

Charlotte alle fragole

La Charlotte... tra tutti i dolci che considero “spugnosi” è uno dei pochi che riesco a mangiare (sì lo so, non sono una pasticciera dai gusti facili).

Le sue origini sono da attribuire agli inglesi, che preparavano una purea di frutta racchiusa da pane raffermo intinto nel burro, e poi cotto in forno; per l'ideazione della Charlotte come torta vera e propria però, bisogna ringraziare un grande pasticcere francese (sempre loro!), Marie-Antoine Carême (1784–1833), il quale la creò come omaggio a Charlotte Sophia di Mecklenburg-Strelitz, moglie del re Giorgio III, che regnò in Inghilterra tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento.
Successivamente Carême affinò ulteriormente la ricetta trasferendosi alla corte dello Zar Alessandro I di Russia a San Pietroburgo, e regalandoci la versione moderna che conosciamo oggi, un dolce composto da un guscio di biscotti savoiardi o di pan di spagna imbevuti di sciroppo, che racchiudono una bavarese alla vaniglia e sono sormontati da frutta fresca.
La Charlotte si diffuse in seguito anche da noi, nel Nord Italia, dove già dai primi dell'Ottocento iniziò a imporsi come dolce tipico, soprattutto nella versione molto semplice con savoiardi, mele renette e brandy.

Note
Potete preparare la Charlotte in anticipo, fino a due giorni prima dell'utilizzo; si conserva 4 giorni in frigorifero.

Ho scelto come alcool il Ratafia abruzzese, un liquore ottenuto da amarene e da Montepulciano d'Abruzzo; potete scegliere qualsiasi liquore di vostro gradimento, basta che sia in sintonia con la frutta scelta, in caso non possiate bere o non amiate l'alcool omettetelo.

I savoiardi li preparo io in genere, ma per velocizzare e semplificare la questione potete acquistarli, scegliete preferibilmente quelli morbidi; più saranno piatti e imbevuti nello sciroppo, più otterrete una Charlotte esteticamente corretta, vale a dire con un guscio esterno omogeneo che racchiuda completamente l'interno. A me non piacciono i dolci troppo umidi, ho scelto di bagnare pochissimo i savoiardi pur sapendo che in questo modo la bavarese avrebbe trovato più spazi per “scappare”, decidendo quindi di decorarla maggiormente alla fine.

Per rendere più facile la composizione, montate bene la panna per la bavarese e aggiungetela alla crema inglese ormai fredda, altrimenti si scioglierà e otterrete un composto liquido.

Vi consiglio di utilizzare uno stampo apposito in alluminio, sarà più facile girarla sul piatto; se siete temerari potete usarne uno in ceramica come me.

La versione che vi propongo oggi, è un adattamento personale di una ricetta di Christophe Felder (francese guarda caso); non vorrei dare l'impressione di snobbare i grandi pasticceri italiani, anzi! Ma la mia carriera è dovuta principalmente ai francesi, mio malgrado ben ferrati in materia e ai quali mi sento di rendere omaggio ogni tanto ;-).

Ingredienti per 8 persone, stampo da 20 cm Ø

Sciroppo
acqua tiepida             90 ml
zucchero                  50 g

Bavarese
colla di pesce            10 g
fragole                   300 g
latte intero              150 ml
tuorli                    80 g
zucchero                  90 g
bacca vaniglia            mezza
Ratafia                   15 ml
panna fresca da montare   270 g

Decorazione
savoiardi morbidi         30 circa
fragole
panna (facoltativa)

Realizzare lo sciroppo mescolando l'acqua tiepida e lo zucchero, tenere da parte.

Mettere i fogli di colla di pesce in una bacinella di acqua freddissima, uno per volta per non farli incollare tra di loro. Lavare le fragole e tagliarle in 4.
Preparare una crema inglese: mettere a scaldare il latte in una casseruola, con i semi di mezza bacca di vaniglia.

Nel frattempo sbattere energicamente con una frusta i tuorli insieme allo zucchero.
Portare a ebollizione il latte e versarlo sul composto di tuorli e zucchero, mescolando.

Rimettere su fuoco medio e cuocere mescolando continuamente con una spatola, fin quando la crema inglese non raggiunge una temperatura di 84°; se non avete il termometro, lasciate ispessire la crema e verificate la cottura immergendovi bene la spatola e passandovi un dito: deve crearsi una divisione netta (immagine sotto).

Lasciar intiepidire e immergervi la colla di pesce strizzata bene. Mescolare con una frusta e lasciar freddare a temperatura ambiente.

Nel frattempo, bagnare i savoiardi con lo sciroppo utilizzando un pennello morbido.
Distribuirli sulla base e sulle pareti di uno stampo cilindrico senza lasciare spazi.

Aggiungere le fragole e il liquore alla crema inglese e frullare con un mixer a immersione.

Montare la panna con fruste elettriche, deve essere freddissima per raggiungere la giusta consistenza. Appena è ben ferma aggiungetela alla crema, mescolando delicatamente dal basso verso l'alto.

Versare il composto nel guscio di savoiardi lasciando un centimetro dal bordo, coprire con altri savoiardi. Chiudere lo stampo con pellicola e conservare in frigorifero per almeno 3 ore.

Armandosi di calma e pazienza (soprattutto se avete scelto uno stampo spesso) passare le pareti dello stampo sotto acqua bollente, facendo attenzione a non bagnare il dolce, finché non riuscirete a capovolgere la Charlotte su un piatto da portata.
Decorare a piacere con savoiardi imbevuti di sciroppo e sbriciolati, fragole fresche e, se lo ritenete necessario, ciuffi di panna montata (personalmente ho evitato).